Quando ho iniziato a pensare al progetto di #ItaliainVino mi sono detta che per comprendere i prodotti non si può esulare dalle persone e soprattutto dal territorio in cui le persone vivono e che influenza senza dubbio carattere e caratteristiche.
La prima tappa di questo viaggio eno-turistico mi ha portata nella Sicilia sud orientale, toccando due delle principali città del vino di quella zona: Menfi e Marsala.
Non conoscevo affatto la zona di Menfi o, come ultimamente l’hanno ribattezzata i suoi abitanti, il Menfishire. E’ una zona che sorprende per il gran numero di vigne e di campi di carciofi.
Sono arrivata nel bel mezzo della stagione dei carciofi e quello che più mi ha impressionata sono proprio state queste distese e questi campi coltivati con uno dei miei ortaggi preferiti. E ho così scoperto che il Carciofo Spinato di Menfi è anche presidio Slow Food.
La cittadina di Menfi, che all’uscita dell’autostrada ci accoglie con un bellissimo sole, dalla collina digrada lentamente verso il mare, fino ad arrivare a Porto Palo.
E’ qui, nella tristemente famosa valle del Belice che negli ultimi anni è salita agli onori della cronache per i suoi successi in campo agroalimentare, che approdiamo alla scoperta del territorio, del vino e dell’olio.
Questa vallata, che si trova a metà strada tra Trapani ed Agrigento, grazie alle caratteristiche climatiche è una zona indiscussa tra le più famose per la coltivazione dell’ulivo.
A beneficiare del clima e della conformazione del territorio è anche la produzione vitivinicola ed è proprio qui che hanno la sede alcune delle cantine siciliane più famose nel mondo.
Complice la fortuna e la curiosità, ma complici anche le amicizie via social, ci troviamo a scoprire realtà diverse che convivono nello stesso territorio.
Le Cantine Settesoli, o come l’ho soprannominate io il gigante della produzione vinicola siciliana, sono una realtà che mi lascia davvero a bocca aperta.
Con 2000 soci conferitori, al secondo posto per produzione europea di bottiglie e 6000 ettari può ben considerarsi il più grande vigneto d’Europa.
La mole e i numeri spaventano, non lo nego; spaventano soprattutto me, abituata a visitare produttori vinicoli vicino a dove vivo, ognuno con la cantina e la sala degustazione di fianco se non in casa.
Eppure è una visita affascinante. Una visita che ti fa scoprire come anche dietro produzioni su larga scala, dietro linee di imbottigliamento simili alle linee di montaggio di un’azienda meccanica, ci sia pur sempre l’attenzione al prodotto e la voglia di garantire la qualità. Proprio le Cantine Settesoli, infatti, sono le prime in Italia ad introdurre la tracciabilità di filiera.
I soci conferitori sono realmente parte delle Cantine; sono loro che studiano insieme ai tecnici e agli agronomi le tipologie di terreno e quali uve coltivare tra le 27 varietà che le Settesoli han deciso di produrre.
La degustazione ci permette di scoprire che le Cantine Settesoli hanno più di una linea di prodotti, alcuni per la grande distribuzione, altri per ristoranti, enoteche e wine bar. Ci propongono di assaggiare vini prodotti con uve alloctone e l’Urra di Mare della linea Mandrarossa, che prende il nome dalla contrada in cui si trova la vigna, è quello che più mi colpisce; un Sauvignon blanc in purezza in cui si ritrovano i sentori di salmastro dovuti alla brezza marina.
La visita alle cantine non si ferma soltanto all’aspetto enologico puro e semplice, ma si estende al territorio ed all’area sulla quale le Cantine Settesoli hanno da alcuni anni edificato la nuova sede di Menfi. Le vecchie cisterne di cemento, un tempo utilizzate come contenitori per il mosto ed il vino vengono mantenute: sono lì da così tanto tempo che fanno parte dell’ambiente circostante.
Anche parte della vecchia ferrovia che da Agrigento portava a Marsala e Trapani è ancora ben visibile: la torre utilizzata come riserva dell’acqua, la casa del casellante e l’annesso magazzino che oggi sono trasformati nello Shop dell’azienda e persino il passaggio dove un tempo si trovavano le rotaie è conservato ed è pronto ad ospitare, in base ad un progetto, una pista ciclabile che passerà proprio nel giardino della proprietà.
Il giorno dopo ci attende una nuova esperienza, un’esperienza unica oserei dire.
Conosco Marilena Barbera nel dicembre 2013, ad una serata dell’associazione Viva il Vino di cui faccio parte, e mi affascina da subito. Mi affascina il suo modo di parlare, di muoversi, il suo abbigliamento [in Piemonte a dicembre con una t-shirt è quantomeno strano… ma così spontaneo e naturale che colpisce!] e mantengo i contatti, sebbene solo via twitter e leggendo il blog delle Cantine Barbera.
Quando inizio a pianificare il viaggio a Menfi ci teniamo in contatto e finalmente riusciamo a rivederci!
E vi devo confessare che rivederla nella sua terra, così appassionata, seguirla mentre controlla la potatura della sua vigna, mentre ci racconta i suoi vini e la sua storia ha un fascino particolare.
Ha il fascino che si ritrova passeggiando lungo la spiaggia deserta di Porto Palo a metà mattina con solo il rumore delle onde e il vento salmastro che ti accarezza il viso, ha l’entusiasmo e la genuinità della Sicilia vera, quella che scopri visitandola fuori dalla stagione turistica di massa.
Marilena ci fa scoprire la sua cantina, e per scoprire intendo il senso letterale della parola: ci apre le botti dove alcuni vini stanno ancora “coccolandosi” con le fecce e ce li racconta uno ad uno.
Quando ce li spiega si percepisce l’amore che ha per quello che fa; ecco Marilena è una di quelle persone che ama il suo lavoro e più che considerarlo un lavoro lo considera una passione.
Avevo già potuto apprezzare i suoi vini “da casa”, quando erano arrivati con una spedizione dalla Sicilia, ma assaggiarli sul posto con la spiegazione di chi li produce ha tutto un altro gusto.
La Bambina, il rosè di Nero d’Avola che già mi piaceva molto, mi ha stregata. L’ultima annata è qualcosa di decisamente notevole e non vedo l’ora di sapere quando ci sarà l’imbottigliamento ho appena scoperto che è stato imbottigliato quindi è l’ora di ordinarne un po’ di bottiglie!
Marilena non ci lascia andar via senza farci assaggiare Ammano, uno zibibbo che ti scalda il cuore e, come un filtro magico, ti lega sempre di più alla Sicilia.
Nel pomeriggio ci attende un’altra visita particolare, in una città speciale che tutti ben conoscono : Marsala.
Citando Marsala, immagino che vi sarete già “fatti il film” sulle più grandi cantine produttrici di questo vino conosciuto in tutto il mondo. Un vino che, se non fosse stato per gli inglesi, forse non sarebbe mai diventato così importante.
Questa però è un’altra storia, a cui magari dedicherò un’altra puntata di #ItaliainVino.
La storia che voglio raccontarvi ora, invece, parla di un giovane di Marsala, Fabio Ferracane, che alcuni anni fa, pur non provenendo da una famiglia di viticoltori, decide di recuperare alcune vigne ereditate dalla famiglia, e dopo un’esperienza in Australia torna nella sua città d’origine e si dedica alla produzione vinicola.
Non alla produzione del vino Marsala, però, bensì alla produzione di vini principalmente autoctoni con le uve che vengono utilizzate per il vino liquoroso, ma che permettono di creare prodotti di notevole qualità anche in purezza.
Contatto Fabio sui social, ci scambiamo qualche messaggio via Twitter, mi invita ad un’escursione all’isola di Mothia, al di là dello Stagnone che si affaccia sulle saline di Marsala. Purtroppo non riesco a raggiungerlo in tempo per la visita [che spero però di fare prima o poi perché dev’essere qualcosa di veramente molto particolare] e ci accordiamo per incontrarci nel tardo pomeriggio.
Quello che mi incuriosisce e mi fa venire ancor più la voglia di incontrare Fabio è il suo approccio “umile” ma nel senso più positivo del termine.
Si sa che come in ogni campo le “prime donne” ci sono sempre e talvolta anche tra i produttori non particolarmente noti c’è chi “se la tira” come dicono i giovani.
Ancora prima di incontrarci, Fabio ci tiene a puntualizzare che la Casa Vinicola Ferracane non ha grandi numeri e quando ci accoglie nel suo “Garage Wine“, come lo definisce lui, io mi sento a casa.
Mi sento come se stessi visitando uno dei piccoli produttori piemontesi, orgogliosi di raccontare la storia della famiglia, dei prodotti e di spiegarci i sogni le speranze e come vedono il futuro.
Prima di arrivare a casa Ferracane, però, facciamo un giro in vigna, e veniamo rapiti dalla bellezza del paesaggio: le vigne si affacciano sulle saline di Marsala e vederle al tramonto è davvero un’esperienza unica.
Dopo aver dato un’occhiata alle vigne sparse qua e là lungo il mare, approdiamo al famoso Garage Wine dove ad attenderci c’è l’altra metà della coppia, Cinzia, colei che cura per buona parte i social dell’azienda, colei che ci svela un segreto, tra donne: prima di conoscere Fabio e di condividere con lui la passione quasi non beveva vino.
Finalmente qui assaggiamo il primo Nero d’Avola in purezza della giornata, un vino che a mio parere rappresenta la sicilianità enologica.
Mi piace da subito, sebbene sia titubante: non amo particolarmente i vini dal carattere troppo forte.
Quello che invece mi conquista al primo sorso è Elisir, una vendemmia tardiva di Cataratto derivato da uve maturate a seguito dell’anulazione del tralcio che permette un maggiore accumulo di zuccheri negli acini.
Come lo definisce Fabio, questo è un vino da meditazione e, aggiungo io, una “sana meditazione” poiché in questo caso non vengono aggiunti solfiti al vino.
La prima tappa di #ItaliainVino volge al termine. Ho conosciuto tre realtà vicine territorialmente ma diverse per concezione, dimensione e produzione. Questo è il bello della nostra terra, quello di cui sono più orgogliosa: con cultura, cibo e vino fa invidia a tutto il mondo!
La Sicilia è una regione che non ho mai visitato…che vergogna.
E se c'è una cosa che mi piacerebbe fare, sebbene ne capisca meno di zero, sarebbe scoprire le cantine.
Potrebbero essere una bella accoppiata Sicilia+cantine! 🙂
Alice
E' una bella accoppiata, sicuramente!!
Il territorio passa anche dai prodotti 🙂
Se hai bisogno di info…chiedi pure!
Grazie Paola 🙂
Anche io ci devo assolutamente tornare!!! Magari dopo la pancia così in cantina mi fermo senza alcolizare il povero Giacomino!!! 🙂
Ale, sì, meglio attendere! Senza pancia lo si gode meglio 😉
Bello ritornare alle nostre visite anche solo con il racconto